Con questa definizione si indica sia il problema dell’arretratezza economica, politica e sociale del sud Italia rispetto al nord, sia il complesso degli studi che hanno indagato i problemi alla base del ritardo del Mezzogiorno italiano.
Già nel corso del XVIII secolo alcuni illuministi meridionali avevano colto nel predominio sociale ed economico del feudalesimo la causa dell’arretratezza del sud la cui economia prevalentemente agricola si basava sul latifondo scarsamente produttivo.
Fu però all’indomani dell’unificazione dello Stato italiano che il problema si manifestò compiutamente. Nel momento, cioè, in cui il sud si trovò a coesistere con l’altra metà dello Stato unitario. A partire da quest periodo vi fu una fioritura di studi, indagini e inchieste che si proponevano l’obiettivo di ricercare le origini e le cause del divario fra Nord e Sud e di escogitare cosi delle soluzioni che colmassero in qualche modo la distanza fra “le due Italie”.
Il primo che fece conoscere agli italiani le condizioni di miseria materiale del sud fu Pasquale Villari con le sue Prime lettere meridionali (1861) cui fecero seguito le Seconde lettere meridionali (1872). Successivamente furono Leopoldo Franchetti, Sidney Sonnino, con la loro famosa inchiesta condotta in Sicilia, e Giustino Fortunato, il quale sfatò la leggendaria fertilità delle terre del sud, a sostenere la necessità di interventi che mitigassero il divario fra il Nord e il Sud, fra cui quella di frazionare il latifondo e favorire cosi la piccola proprietà. Nonostante la generosità e lo zelo di molti uomini politici e di intellettuali molte delle proposte e delle iniziative prese non trovarono modo di tradursi concretamente.
Solo durante l’età Giolittiana, agli inizi del novecento, furono approvate le prime leggi straordinarie per finanziare i lavori pubblici nel Sud. Tuttavia queste leggi si rivelarono inefficaci e la situazione nel Mezzogiorno rimase drammatica sino al secondo dopoguerra quando la questione meridionale tornò al centro della discussione parlamentare. Nel 1950, in risposta a delle pressioni di meridionalisti fra cui Manlio Rossi Doria e Pasquale Saraceno, fu istituita la Cassa per il Mezzogiorno per programmare e finanziare lo sviluppo dell’industria e dell’agricoltura nel sud. Contemporaneamente fu intrapresa la riforma agraria che favorì l’esproprio e la redistribuzione di una vasta estensione di terre di cui beneficiarono piccoli proprietari contadini.